L’Arcadia in Brenta, Milano, Ghislandi, 1758 (Novara)

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
 Camera terrena in casa di messer Fabrizio.
 
 FABRIZIO, che dorme sopra una poltrona, e FORESTO
 
 FORESTO
 Oh questa sì ch’è bella,
 il padrone di casa
 a tutt’i forastieri dà ricetto
 e gli convien dormir fuori di letto.
5Con questa bell’Arcadia
 ei si va rovinando ed io, che sono
 da questo sciocco economo creato,
 or che manca il denar, son imbrogliato.
 Orsù lo vuo’ svegliar, già s’alza il sole;
10oggi almeno ci vuole,
 fra quei che siamo e quelli che veranno,
 mezza l’entrata sua di tutto l’anno.
 Signor Fabrizio... Ehi signor Fabrizio,
 signor Fabrizio.
 FABRIZIO
15Che?
 FORESTO
             Svegliatevi.
 FABRIZIO
                                     Sì.
 Par... la... te.
 FORESTO
                          Egli si torna addormentare.
 Su via, messer Fabrizio.
 FABRIZIO
                                               Seguitate. Sì.
 FORESTO
 Se voi non m’ascoltate,
 non vuo’ parlar da stolto.
 FABRIZIO
20Tengo gli occhi serrati ma v’ascolto.
 FORESTO
 Ben, sapiate che io
 ho il denar terminato
 che voi m’avete dato.
 FABRIZIO
 Ben.
 FORESTO
            M’avete inteso?
 FABRIZIO
25Ho inteso tutto.
 FORESTO
                                E ben, che rispondete?
 FABRIZIO
 Fate quel che volete.
 FORESTO
 Ma il denar?
 FABRIZIO
                           Che denar?
 FORESTO
                                                   M’avete inteso?
 FABRIZIO
 Tutto non ho compreso.
 Tornate a dir.
 FORESTO
                            Alzatevi di grazia.
 FABRIZIO
30Voi avete timor ch’io m’addormenti,
 pericolo non v’è ma per gradirvi
 m’alzerò, via, parlate.
 FORESTO
 Ora, signor, sappiate
 che non v’è più denaro...
 FABRIZIO
                                               Ben.
 FORESTO
                                                          Ch’io...
35non so più come far, ch’oggi s’aspetta
 nuova foresteria.
 E buonanotte di vusignoria.
 Signor Fabrizio... Ehi signor Fabrizio.
 Signor Fabrizio...
 FABRIZIO
                                   Che? Come?
 FORESTO
                                                             Voi siete
40impastato di sonno.
 FABRIZIO
                                       Io? Che dite?
 Dormo io? Signor no. Eccomi lesto.
 FORESTO
 Venite qua.
 FABRIZIO
                         Son qua.
 FORESTO
                                            Vi torno a dire,
 signor Fabrizio caro,
 che vi vuol del denaro.
 FABRIZIO
45Ed io risponderò,
 signor Foresto caro, non ne ho.
 FORESTO
 Ma che fare dovrò
 per supplire l’impegno in cui voi siete?
 FABRIZIO
 Fate quel che volete.
 FORESTO
50Non v’è denaro?
 FABRIZIO
                                 Oibò.
 FORESTO
                                              Grano?
 FABRIZIO
                                                              È venduto.
 FORESTO
 Quei cavalli indiscreti,
 che mangian tanto fieno,
 si potrian esitar.
 FABRIZIO
                                 Sì...
 FORESTO
                                           La carrozza?
 FABRIZIO
 La carr... o... zza...
 FORESTO
                                   Eh io non sono pazzo
55di volervi servir per matarazzo.
 FABRIZIO
 Sì, la carrozza.
 FORESTO
                             O la carrozza o il carro,
 vi dico in due parole
 che se non v’è denar l’Arcadia vostra
 è presto terminata
60e tutta la brigata,
 provista d’appetito,
 grazie vi renderà del dolce invito.
 
    Se vi mancano i contanti,
 fate quel che fanno tanti,
65impegnate e poi vendete;
 e se robba non avete
 già si sa l’usanza vaga
 che si compra e non si paga
 e si gode all’altrui spesa
70ed aspetta il creditor.
 
 SCENA II
 
 FABRIZIO solo
 
 FABRIZIO
 Per dirla, quasi quasi
 or or me n’andarei
 e l’Arcadia e i pastori impianterei.
 Ma se l’anno passato
75son già stato graziato, il dover mio
 vuol che st’anno lo stesso faccia anch’io.
 E poi e poi si son quelle ragazze
 che mi piaciono tanto
 e spero d’aver d’innamorarle il vanto.
80Ma diavolo, si spende
 troppo a rotta di collo,
 voglio un po’ far il conto
 quant’ho speso finora
 e quanto doverò spender ancora.
 
85   Quattrocento bei ducati...
 poverini sono andati.
 Sessantotto bei zecchini...
 sono andati, poverini.
 Trenta doppie, oh che animale!
90Cento scudi... oh che bestiale!
 Quanto fanno? Io non lo so!
 
    I zecchini sessantotto
 coi ducati quattrocento
 fanno... fanno... Oh che tormento!
95Basta, il conto è bello e fatto,
 perché un soldo più non ho.
 
 SCENA III
 
 Giardino che termina al fiume Brenta.
 
 ROSANA, LAURA, GIACINTO, FORESTO sopra sedili erbosi, poi FABRIZIO
 
 A QUATTRO
 
    Che amabile contento
 fra questi ameni fiori
 godere il bel concerto
100degli augelin canori,
 che bell’udir quell’aure,
 quell’onde a mormorar.
 
 FABRIZIO
 
    Che bella compagnia,
 fa proprio innamorar.
 
 A QUATTRO
 
105   Che bell’udir quest’aure,
 quell’onde a mormorar.
 
 GIACINTO
 Bellissima Rosana,
 nell’Arcadia novella
 bramo che siate voi mia pastorella.
 ROSANA
110Anzi mi fate onore
 e vi accetto, signor, per mio pastore.
 FORESTO
 E voi, Lauretta cara,
 seguendo d’Arcadia il paragone,
 la... sarete.
 LAURA
                       E voi il...
 FABRIZIO
115Bravi, così mi piace,
 voi quattro in buona pace
 state qui allegramente
 e il povero Fabrizio niente, niente.
 GIACINTO
 Via, sedete, o signore.
 FABRIZIO
                                           Io sederei
120qui volontieri un poco,
 s’uno di lor signor mi desse loco.
 FORESTO
 Intesi dir fra l’altre cose vere
 che quando non v’è luogo
 non si può sedere.
 FABRIZIO
125(Cappari, il caso è brutto.
 Io niente e loro tutto, aspetta, aspetta).
 Amico, una parola.
 FORESTO
                                     E che volete?
 FABRIZIO
 Parlar di quel negozio.
 FORESTO
 Di che?
 FABRIZIO
                  Non m’intendete? Uh capo storno!
 FORESTO
130Dell’arsan?
 FABRIZIO
                               Io.
 FORESTO
                                       Lauretta, adesso torno,
 eccomi, ov’è il denaro.
 FABRIZIO
 Aspetta un momento.
 Passeggiate un tantin ed io mi sento.
 Ah! Ah! Te l’ho ficata.
135Oh questa sì ch’è bella,
 io non voglio star senza pastorella.
 FORESTO
 Pazienza, me l’hai fatta;
 ma mi vendicherò.
 LAURA
                                      (Vuo’ divertirmi).
 Bella creanza al certo!
140Dove apprendeste mai
 cotanta inciviltà?
 FABRIZIO
                                  Ma finalmente...
 LAURA
 Finalmente, vi dico,
 non si tratta così.
 FABRIZIO
                                  Son io...
 LAURA
                                                   Voi siete
 un bell’ignorantaccio.
145Dirò meglio; voi siete un villanaccio.
 FABRIZIO
 Al padrone di casa?
 LAURA
                                       Che padrone?
 Questa casa ch’è qui non è più vostra.
 Questa è l’Arcadia nostra,
 noi siamo pastorelle e voi pastore;
150e non serve che fate il bell’umore.
 FABRIZIO
 Dice ben.
 FORESTO
                     La capite.
 LAURA
 Non occore che dite:
 «Voglio, non voglio».
 FABRIZIO
                                         Oibò.
 FORESTO
                                                      Vogliamo fare
 tutto quel che ci pare.
 FABRIZIO
155Signorsì.
 LAURA
                    E non è poca
 la nostra cortesia
 che non v’abbiam sinor cacciato via.
 FABRIZIO
 Padroni.
 FORESTO
                   Avete inteso?
 FABRIZIO
 Se non son sordo.
 LAURA
                                   Acciò ben la capisca
160la vostra mente stolta,
 ve lo tornerò a dir un’altra volta.
 
    Vogliamo fare
 quel che ci pare.
 Vogliam cantare,
165vogliam ballare
 e voi tacete,
 poiché voi siete
 senza giudizio,
 signor Fabrizio,
170siete arrabiato?
 Via, ch’ho burlato,
 nol dirò più.
 
 SCENA IV
 
 ROSANA, GIACINTO, FABRIZIO e FORESTO
 
 FABRIZIO
 Io rimango incantato.
 FORESTO
 Signor, che cosa è stato?
175Se comanda seder, si senta pure.
 Oh questa sì che è bella!
 Io non voglio star senza pastorella.
 FABRIZIO
 Ancor voi mi burlate?
 FORESTO
 Io burlarvi, pensate,
180siete l’amico mio più fido e caro
 ma se manca il denaro,
 vi giuro in fede mia
 che tutti se n’andiamo in compagnia.
 FABRIZIO
 Andate col malan che il ciel vi dia.
185Ma signora Rosana,
 che dite voi? Che dite voi, Giacinto,
 del parlar di Lauretta?
 GIACINTO
                                            E non vedete
 ch’ella si prende spasso?
 FABRIZIO
 Corpo di satanasso,
190cospetton di Bacco,
 se me n’ha detto un sacco.
 ROSANA
 E pur il di lei sdegno
 parmi d’amor un segno.
 La femina talora
195scaltra finge odiar quel che più adora.
 FABRIZIO
 Possibile che m’ami
 e così mi strapazzi?
 ROSANA
                                       Io ve lo giuro,
 statene pur sicuro.
 Più volte l’amor suo mi ha confidato.
200Arde per voi.
 FABRIZIO
                           Che amore indiavolato.
 GIACINTO
 È ver?
 ROSANA
                Mi prendo spasso.
 Sapete la cagione
 ch’or la rese furiosa?
 Perché di me è gelosa.
 FABRIZIO
                                           Or la capisco.
205Ma che motivo è mai
 d’ingelosir di voi?
 ROSANA
                                    Gli affetti miei
 ho confidato a lei.
 FABRIZIO
 Dunque voi pur mi amate?
 ROSANA
 Purtroppo è ver.
 FABRIZIO
                                 Bellezze fortunate!
210Giacinto, che ne dite?
 Forse v’ingelosite?
 GIACINTO
                                     Niente affatto.
 Io non sono sì matto,
 s’ella v’ama, signor, io vado via,
 che non voglio impazzir per gelosia.
 
215   Sai qual ardor m’accende,
 vedi ch’a te mi fido;
 dal tuo valor dipende
 la pena del mio cor.
 
 SCENA V
 
 FABRIZIO e ROSANA
 
 FABRIZIO
 Dunque, se voi mi amate,
220discoriamola un puoco.
 ROSANA
 Ma Laura sarà poi meco sdegnata!
 FABRIZIO
 Io non vuo’ quella donna indiavolata.
 ROSANA
 L’amicizia, il dover non lo permette.
 FABRIZIO
 Amor non vuol riguardi,
225aggiustiamo le cose infra di noi
 e lasciate che poi Lauretta dica.
 ROSANA
 V’amo ma non vogl’io tradir l’amica.
 FABRIZIO
 Oh caro il mio tesoro,
 già spasimo, già morro.
 ROSANA
230Olà, signor Fabrizio,
 più rispetto vi dico e più giudizio.
 
    So che cessar dovrei
 il mio novello amore
 ma tanto non credei
235che ardito il vostro core
 giungesse a delirar.
 
    Nel seno eguale ardor
 forse risento anch’io
 ma un nobil rigor
240insegna al foco mio
 le fiamme moderar.
 
 SCENA VI
 
 FABRIZIO e poi un servo che non parla
 
 FABRIZIO
 Rosana mi vuol bene e mi discaccia;
 Laura mi porta affetto e mi strappazza.
 Io non so di che razza
245siano cotesti amori.
 Se le ninfe e i pastori
 s’innamoran così, sono tutti matti;
 questo sembra un amor tra cani e gatti.
 Chi? Madamma Lindora?
250Dille che venga tosto e non si penta,
 che venga ad onorar l’Arcadia in Brenta.
 Capita questa dama,
 di conoscermi brama?
 Fosse di me invaghita, allora sì
255che queste due ragazze
 faria per gelosia diventar pazze.
 
 SCENA VII
 
 Madam LINDORA e detti
 
 LINDORA
 Come non v’è nessuno
 che mi venga ad incontrar? Dov’è il padrone?
 FABRIZIO
 Vi priego ingenocchione
260perdonar se ho tardato.
 LINDORA
 Il padrone di casa è un malcreato.
 FABRIZIO
 Il padrone son io.
 LINDORA
 Ah scusi padron mio,
 detto ho così per gioco,
265gli domando perdon, se ho detto poco.
 FABRIZIO
 Che serve, un’altra volta
 meglio si porterà.
 LINDORA
 Guardate per pietà
 che non vi siano fiori;
270io non posso sentir cattivi odori.
 FABRIZIO
 L’odor non è cattivo, faccia grazia.
 Qualche disgrazia?
 LINDORA
 Maledetto giardino,
 ho sentito l’odor di gelsomino.
 FABRIZIO
275Vuol che lo butti via?
 LINDORA
                                         Subito, presto...
 FABRIZIO
 Vattene, o brutto vaso,
 che di madama hai conturbato il naso.
 LINDORA
 È lei il signor Fabrizio?
 FABRIZIO
                                             Sì signora.
 LINDORA
 E questo è il suo casin?
 FABRIZIO
                                             Questo è il casino
280ove ogn’anno villeggio.
 LINDORA
 Oibò, che robba, non si può far di peggio.
 FABRIZIO
 Se mai non gli piacesse, ella è padrona
 di andar quando li pare.
 LINDORA
 No no, non voglio fare
285questo gran torto al mio signor Fabrizio.
 Resterò, vi farò questo servizio.
 FABRIZIO
 Ma se mai se ne volesse
 andar.
 LINDORA
                Dite, ove sono
 l’arcadi pastorelle?
 FABRIZIO
                                     Io non lo so.
 LINDORA
290Non importa, signor, le cercherò.
 FABRIZIO
 Comanda ch’io la servi?
 LINDORA
                                              Obligatissima.
 Voi siete un po’ vecchietto.
 Io voglio che mi serva un giovinetto.
 FABRIZIO
 Adonque se io son vecchio
295perché viene da me?
 LINDORA
                                         Per tormi spasso.
 FABRIZIO
 Spasso de’ fatti miei?
 LINDORA
                                          No, bel visino,
 di voi non mi burlo, anzi vi stimo,
 vi lodo e vi professo obligazione
 e vi dico che siete un bel m...
 FABRIZIO
                                                       Un bel minchione.
 LINDORA
300Non dicevo così.
 FABRIZIO
                                 Ma io lo dico.
 LINDORA
 Quando lo dite voi, nol contradico.
 FABRIZIO
 Ma vede che una donna
 di spirito come lei
 perdere il tempo suo co’ pari miei...
 LINDORA
305Voi siete un bello spirito,
 voi siete della Brenta il primo onore,
 d’Arcadia il gran pastore
 siete, signor Fabrizio,
 senza diffetto alcun.
 FABRIZIO
                                       Senza giudizio.
 LINDORA
310Eh, che dite?
 FABRIZIO
                           Conosco il merto mio.
 LINDORA
 Quando lo dite voi, lo dico anch’io.
 FABRIZIO
 Dunque...
 LINDORA
                      Dunque men vado
 a ritrovar le belle
 di questa vostra Arcadia pastorelle.
 
315   Riverente a lei m’inchino.
 Eh! Braccieri! Qui la mano,
 venga presto... Andate piano.
 Venga poi... Non mi stroppiate.
 Correr troppo voi mi fate.
320Mi vien mal... Non posso più.
 
    Via, bel bello, andiamo avanti;
 le son serva, addio, monsiù.
 
 SCENA VIII
 
 FABRIZIO, poi il servo
 
 FABRIZIO
 Oh questa sì ch’è bella.
 Vuol per forza restar e mi strapazza,
325quest’è di quella razza
 di gente che vuol dire e vuol fare
 e dove mette il piè vuol comandare.
 Ma cresce la brigata
 e il denar va mancando e la carozza
330sarà venduta e li cavalli ancora.
 Pazienza, almen ho il gusto
 di veder due ragazze innamorate
 che per me tutte due son spasimate.
 Oh! Diavolo! Che dici!
335Viene il conte Bellezza? Venga! Venga,
 giacché alla casa s’ha da vedere il fondo,
 venga pur tutto il mondo.
 
 SCENA IX
 
 Arriva un burciello da cui sbarca il conte BELLEZZA
 
 FABRIZIO
 Oh che gran signorone,
 costui porre mi vuol in soggezione.
 CONTE
340Permetta, anzi conceda
 che prostato si veda
 al prototipo ver de’ generosi
 l’infimo de’ suoi servi rispettosi.
 FABRIZIO
 Servitor obbligato.
 CONTE
345La fama ha pubblicato
 i pregi vostri con eroica tromba;
 l’eco intorno rimbomba
 il nome alto sovrano
 di Fabrizio Fabroni da Fabriano.
 FABRIZIO
350Servitore di lei.
 CONTE
 Ed io pur bramerei,
 anzi sospirerei,
 benché il merito mio sia circonscritto,
 nel ruolo de’ suoi servi esser descritto.
 FABRIZIO
355Anzi de’ miei padroni.
 CONTE
 Ah, mio signor, perdoni
 se tracotante, ardito,
 prevenendo l’invito,
 per far la mente mia sazia e contenta,
360son venuto a goder l’Arcadia in Brenta.
 FABRIZIO
 S’accomodi.
 CONTE
                         La fama
 poco disse finor di voi parlando,
 voi cantando, esaltando,
 veggo più, veggo molto
365in quell’amabil volto
 che con raggi di placido splendore
 spiega l’idea del liberal suo core.
 FABRIZIO
 Signor, lei mi confonde.
 Vorrei dir ma non so.
370Per andar alla breve, io tacerò.
 CONTE
 Quel silenzio loquace
 quanto, quanto mi piace! Ella tacendo
 col mutto favellar va rispondendo.
 Ed io, che tutto intendo,
375il genio suo comprendo.
 Ella vuol favorirmi ed io mi arrendo;
 ed accetto le grazie e grazie rendo.
 FABRIZIO
 Le renda o non le renda,
 è tutta una facenda.
380Se qui vuole restar, mi farà onore,
 cerimonie non fo, son di buon cuore.
 CONTE
 Viva il buon cor. Anch’io l’affettazione
 odio nelle persone;
 parlar mi piace natural affatto.
385Perciò dal seno estratto
 il più divoto e caldo sentimento,
 trabocca dalle labra il mio contento.
 FABRIZIO
 Se questo è naturale,
 parla ben, non vi è male.
 CONTE
390La provida natura
 prese di me tal cura
 che mi rese il più vago e più giocondo
 grazioso cavalier che viva al mondo.
 FABRIZIO
 Me ne rallegro assai. S’ella bramasse
395riposarsi, è padron.
 CONTE
                                       Sì, mio signore;
 accettarò l’onore
 che l’arcisoprafina sua bontà
 gentilissimamente ora mi fa.
 FABRIZIO
 Vada pure, Pancrazio,
400servi questo signore.
 CONTE
                                         L’essuberanza,
 anzi l’essorbitanza
 delle grazie, onde lei mi ha incatenato...
 FABRIZIO
 Vada, basta così.
 CONTE
                                 Lasci che almeno...
 FABRIZIO
 Vada per carità.
 CONTE
                                Non fia mai vero
405ch’io manchi al dover mio...
 FABRIZIO
 Vada lei, mio signore, o vado io.
 CONTE
 M’inchino al vostro merito
 presente e non preterito.
 
    Io v’amo di cuore
410signore, padrone,
 sentite, soffrite
 un cor voi avete
 ch’è tutta bontà.
 
    Mi prostro, m’inchino
415con tutta umiltà.
 
 SCENA X
 
 FABRIZIO solo
 
 FABRIZIO
 Con due pazzi di più nella brigata
 ora l’Arcadia in Brenta è terminata.
 E viva l’allegria. Corpo del diavolo,
 quando io mi divertisco,
420proprio ringiovenisco.
 E quelle ragazzette,
 quanto sono carette!
 Per passare con esse i giorni miei,
 cospetto, io non so dir cosa farrei.
 
425   Sento per questa e quella
 un certo che nel core,
 amore, la tarantella,
 lo sento a tutte l’ore
 che lo fa saltichiar.
 
 SCENA XI
 
 Camera in casa di Fabrizio.
 
 Madama LINDORA, poi il CONTE
 
 LINDORA
430Dove Laura e Rosana,
 dove mai sono?
 Vorrei sedere un poco,
 chi è di là? V’è nessuno?
 CONTE
 Madama, vi son io.
 LINDORA
435Da sedere... Oh perdoni.
 Non l’avevo veduto.
 CONTE
 A tempo son venuto,
 s’accomodi.
 LINDORA
                         Mi scusi...
 CONTE
 Anzi al provido ciel le grazie mando,
440perché degno mi fe’ d’un suo comando.
 LINDORA
 Con questa original caricatura... (Sola)
 Chi è lei, mio signore?
 CONTE
 Sono il conte Bellezza,
 un vostro servidore,
445obbligato, divoto e profondissimo.
 LINDORA
 Anzi mio padronissimo.
 CONTE
 Deh mi conceda l’alto onor sovrano
 di poterli bacciar la bianca mano.
 LINDORA
 Olà.
 CONTE
            Che cosa è stato?
 LINDORA
450Voi m’avete toccato
 con troppa confidenza.
 Questa, con le mie pari, è un’insolenza.
 CONTE
 Leggierissimamente
 alzo la latea delicata mano
455e con l’avida bocca...
 LINDORA
 No no, che se mi tocca
 l’acuto pelo, che vi spunta nel mento,
 mi vedrete cadere in svenimento.
 CONTE
 Lo farò con tal arte
460che voi ne stupirete.
 Siate pietosa, oh dio, se bella siete.
 LINDORA
 Rider mi fa.
 CONTE
                          Prostrato,
 o mia bella, al vostro piede,
 vi domando pietà, grazia, mercede.
 LINDORA
465Via, prendete la mano.
 CONTE
 Cara man...
 LINDORA
                         Piano, piano.
 CONTE
 Ancor non l’ho toccata.
 LINDORA
 L’avete con il fiato insudiciata.
 CONTE
 Andrò cauto anch’in questo,
470lasciate...
 LINDORA
                    Son stanca.
 CONTE
 Riposate la man sovra il mio braccio.
 LINDORA
 Oh che ruvido panaccio.
 CONTE
 Vi porrò il fazzoletto.
 LINDORA
 Non mi par troppo netto.
 CONTE
475Dunque che far dovrò.
 LINDORA
 Io non saprei.
 CONTE
                             Ah madama, io morirò.
 LINDORA
 Vi vorrei compiacere
 ma non vorrei che la mia compassione...
 CONTE
 Tratto ho un’invenzione
480che non vi spiacerà. La bella mano
 alzate da voi stessa
 e mentre ella s’appressa al labro mio
 il labro inchino e me gl’accosto anch’io.
 LINDORA
 Mi contento.
 CONTE
                          Sian grazie al ciel, al fato,
485generosa madama, io son beato.
 Eccomi, alzate un po’.
 Ancora un poco più.
 LINDORA
                                       Voi mi leccate.
 CONTE
 Ma se non vi fermate
 per un momento sol.
 FABRIZIO
490Signor conte Bellezza, mi consolo.
 FORESTO
 Ancor io ma di core.
 CONTE
 (Indiscreta fortuna). Ma di che?
 FABRIZIO
 Il principe lei è
 per tutto questo dì d’Arcadia nostra.
 CONTE
495È gentilezza vostra,
 non già merito mio.
 FABRIZIO
 Anzi i meriti vostri a noi son noti
 e creato v’abbiam con tutti i voti.
 LINDORA
 Anch’io l’Arcadia lodo
500e d’esservi soggetta esulto e godo.
 CONTE
 Ah che più goderei
 il bramato piacer de’ labbri miei.
 FORESTO
 A voi, principe degno,
 del suo rispetto in segno
505manda l’Arcadia vostra
 questo serto di fiori.
 LINDORA
 Ahi mi fate morir con questi odori.
 FABRIZIO
 Via, madama Lindora
 non li può sopportar.
 CONTE
                                         Deh riponete
510questo serto fatale.
 LINDORA
 Mi sento venir male.
 FABRIZIO
 Presto, presto, tabacco.
 LINDORA
                                            Sì, tabacco.
 FABRIZIO
 Prenda.
 LINDORA
                  È troppo granito.
 CONTE
 Questo è fino assai più.
 LINDORA
515Non mi piace, signor, va troppo in su.
 FORESTO
 (Ora l’aggiusto io.
 Con questa stranutiglia
 mi voglio divertir con chi ne piglia).
 Prenda, prenda di questo,
520è foglia schietta, schietta e leggerissima.
 LINDORA
 Questo, questo mi piace; obbligatissima. (Prende tabacco)
 FORESTO
 Comanda? (Al conte)
 CONTE
                        Mi fa grazia. (Prende tabacco)
 FORESTO
 E voi? (A Fabrizio)
 FABRIZIO
                Mi fate onore. (Lo prende anche lui)
 FORESTO
 (Voglio rider di core,
525la stranutiglia vera
 li farà stranutar fino alla sera). (Parte)
 FABRIZIO
 
    Vada, vada.
 
 CONTE
 
                            Vada lei. (A Lindora)
 
 LINDORA
 
 Anzi lei. Vada. Eccì. (Stranuta)
 
 FABRIZIO, CONTE
 
 Viva, viva.
 
 LINDORA
 
                       Grazie. Eccì.
530Ahi! Eccì. Ahi! Eccì.
 
 FABRIZIO
 
 Poverina!
 
 CONTE
 
                     Presto. Eccì.
 
 FABRIZIO
 
 Che bel garbo! Son qua io.
 Forti. Eccì.
 
 CONTE
 
                       Alto. Eccì.
 
 LINDORA
 
 Aiutatemi. Eccì.
 
 CONTE, FABRIZIO
 
535   Che tabacco, eccì, eccì.
 Maledetto, eccì, eccì.
 Che tormento che mi sento,
 più non posso, eccì, eccì.
 
 CONTE
 
    Via, madama, non è niente.
 
 FABRIZIO
 
540Che tabacco impertinente!
 
 LINDORA
 
 Acqua fresca per pietà.
 
 A TRE
 
    Dunque andiamo in compagnia
 a goder con allegria
 dell’Arcadia il primo dì.
 
545   Vada, vada, eccì, eccì,
 maledetto tabaccaccio!
 
 CONTE
 
 Oh che impaccio! Eccì, eccì.
 
 FABRIZIO
 
 Favorisca.
 
 LINDORA
 
                      Signorsì.
 
 A TRE
 
 Faccia grazia, eccì, eccì.
 
 Fine dell’atto primo